1. La pittura è
un rituale sacro
Da piccola praticavo la pittura a casa con la mia madre, era il nostro caos felice, provavo tanta gioia ad esplorare ogni cosa. La pittura era un rituale che ci rendeva complici ed è rimasta per me un tempio: mi trasporta in un ritmo altro, in un mondo di infinità possibilità, in uno spazio sacro. Quando dipingo entro in un “flusso intuitivo” dove diventa più facile superare le paure e i limiti ed aprirsi radicalmente “ a tutto ciò che può accadere quando si è aperti a tutto”; è il mio modo di sentirmi collegata allo spirito della creazione. E’ la mia pratica di coraggio – seguo il cuore e il corpo – e lascio le energie del momento presente esprimersi liberamente. E’ sempre un viaggio iniziatico a contatto con la mia autenticità, lontana dalle aspettative, altrui e miei.
Nella mia formazione accademica in lettere e museologia ho imparato a destreggiarmi tra i vari linguaggi – scrittura e immagine, spazio e tempo – e ciò mi è stato molto utile quando ho esplorato in seguito la relazione che unisce gli emisferi cerebrali nei processi creativi. E’ lì che si trova la radice del mio metodo: il Colore dell’anima, “una sintesi per mezzo del simbolo”: queste parole rappresentano l’essenza della mia prospettiva nel campo dell’arteterapia. Ho imparato che il dialogo tra polarità complementari e molto diverse da vita al nuovo. Frequentavo i musei e comunicavo con i dipinti: hanno un’anima, ci parlano, connettendoci con la nostra anima se le guardiamo non solo con gli occhi ma anche con cuore aperto. Tutto questo ha influenzato parecchio il mio approccio alla pittura intuitiva, alla differenza che con essa, non si è solo osservatori sensibili ma creatori.
2. I dipinti parlano all’anima
3. Bisogna rinascere periodicamente
Ho imparato quanto sia vitale rinascere dalle proprie ceneri. Il dolore è un severo maestro, è un catalizzatore di risveglio, un motore di evoluzione, un’iniziazione al mistero della vita. Attraverso le mie sacre ferite, ho imparato a lasciare le false sicurezze: in fondo, la trasformazione è l’essenza stessa della vita, meglio aprirsi alla saggezza del momento – che sia di chiusura o di apertura – piuttosto che remare contro corrente. Solo attraversando l’ombra, possiamo attingere ai suoi doni. Vivere la propria dimensione spirituale significa per me vivere una vita più vera, più completa, che non esclude niente; aprire il proprio cuore e avere fiducia contro ogni cosa; eliminare tutto ciò che ci impedisce di entrare in contatto con la parte di noi che risiede nell’invisibile.
La mia vita è riempita di magia, ma forse la parola più giusta sarebbe gratitudine e grazia. Ognuno di noi nasce con un disegno unico. Ma non basta nascere per nascere a se stessi e che bisogna impegnarsi con l’anima per scoprire la propria strada. Ho spesso seguito la voce dell’anima, anche quando mi chiedeva cose che non capivo con la ragione. Così mi sono trasferita a Roma. Non esiste domanda più centrale di “ chi sono? Che sono venuta a fare qui sulla terra?” perché porta alla ricerca del senso della nostra vita: la sua direzione, la sua forza motoria, la sua qualità unica. Nascere a se stessi, abbracciando il senso della propria vita, è un compito di ogni istante fino la fine dei nostri giorni. Sprecare la nostra energia autentica non serve a niente, è un meccanismo di negazione che ci allontana di chi siamo realmente. La luce che ci è stata data ci è stata data per essere espressa e donata al mondo.
4. Dobbiamo scoprire la nostra strada
5. Ogni nuovo progetto richiede spazio libero
Con la nascita della mia seconda figlia ho imparato che un seme di vita si sviluppa solo dove c’è spazio per esso, spazio libero, svuotato dal passato, sgombrato da ciò che viene trattenuto. Ho imparato che ogni nascita è un miracolo e che proveniamo dal mistero.